giovedì, marzo 12, 2009



bolletTHAI
marzo 2009 - n. 3 (33)











Per festeggiare questo primo mese di viaggio, il terzo mellennio vi regala oggi un numero del bolletthai del tutto speciale. Dal cinico, irriverente, spietato, ironico e sudato pugno di Federigo, eccovi l’epopea singaporiana e la calda accoglienza malacchiana secondo Minelli (le foto saranno aggiunte in un secondo momento):






Malacca e Singapore: Gioia e Dolore



Che privilegio per me, lettore assiduo del passato e spalla del presente, poter diventare per una volta scrittore di questo inserto del bolletthai.

Nel caldo paludoso di Bangkok mi ritrovo a raccontare di come qualcosa che e’ cominciata incredibilmente male possa comunque finire con un’esperienza assolutamente unica. Ma andiamo per ordine. La destinazione fissata era lo stato-citta’ di Singapore, meta prediletta degli appassionati di elettronica, paradiso fiscale del continente asiatico e punto piu’ a sud del nostro viaggio. Saliti su di un bus ad un’ora talmente indegna da far inorridire il piu’ conservatore dei galli mattutini, ci siamo ritrovati insieme ad altri passeggeri ancora dormienti sulla via per la citta’ del Leone.

Forse i nostri studi classici avrebbero dovuto rammentarci che in ogni tragedia greca che si rispetti, l’eroe viene sempre avvertito con un presagio da una divinita’ buona, che cerca di metterlo in guardia contro le sventure imminenti. Cosi’ infatti e’ stato anche per noi giacche’ i primi 80km sono stati allietati dalle composte ma cospicue svomitazzate di una sventurata passeggera locale che sembrava, suo malgrado, intenzionata a rendere partecipe tutta la comitiva delle proprie abitudini alimentari mattutine.

Risolto l’annoso dilemma riguardante quale strada dovesse prendere la colazione della signorina, se quella orale o la piu’ consueta via rettale, in 4 ore eravamo gia’ al confine meridionale della Malesia, pronti a varcare i cancelli che portano all’opulenza del piccolo stato. Armati del nostro consueto entusiasmo abbiamo facilmente sbrigato i controlli malesiani e dopo poco ci siamo ritrovati faccia a faccia con la controparte singaporese.

Come tutti i tabagisti che si rispettino, consapevole del cambio infelice imposto dalla moneta locale, mi ero premunito di ben 3 pacchetti di sigarette, dosaggio sufficente a calmare i miei neurotrasmettitori per la due giorni a Singapore.
Detto questo va in scena la tragedia che si scatena proprio per le 60 Winston rosse di cui sopra. Infatti in base alle draconiane e quanto mai assurde regole locali, non e’ consentito introdurre nessun quantitativo di alcolici, tabacchi e……le pericolosissime gomme da masticare, con pene da 10.000 dollari fino a 3 anni di carcere. Ovviamente nessuno si era guardato bene da mensionare questo irrilevante dettaglio e chi scrive si e’ ritrovato negli uffici della polizia di frontiera in pieno stato di sbigottimento catatonico. Qui dopo la stesura del verbale che mi vedeva colpevole di contrabbando sono stato portato al cospetto di un’attraente funzionaria di polizia che con manierismi garbati ed un fisico da pornodiva asiatica mi ha prima rimbrottato e poi graziato purche’ pagassi (sarebbe meglio dire ri-pagassi visto che le sigarette in questione non le avevo rubate) l’IVA corrente, spiegandomi che perquanto si possa tranquillamente uscire da Singapore con un Boing 747 aquistato in loco senza pagare tasse, quando si entra la storia e’ differente. Insomma la scelta era o 6 dollari a pacchetto ora oppure le lasci qui ma in citta’ costano 10. Talvolta la matematica puo’ essere molto crudele. Ancora sbigottito ho raggiunto Ennio che mi attendeva all’uscita e ci siamo diretti subito verso il bus commentando l’accaduto con toni diametralmente opposti a quelli usati durante l’ultimo concilio ecumenico vaticano.

Fatti quei pochi metri che ci saparavano dal parcheggio, ci rendiamo conto che non c’e’ piu’ il bus. Infatti quell’orrido e putribondo mammifero con cranio prognato e madre dedita alla zoofilia che ci faceva da autista, aveva pensato bene di lasciarci al confine e di proseguire il viaggio senza di noi. Allo sbigottimento relativo alla farsa della frontiera ha fatto seguito un crescendo di furibonde e mirate blasfemie verbali che ci hanno portato a coinvolgere non solo le piu’ blasonate religioni occidentali ma anche quelle dell’oriente fin anche a raggiungere credi minori di isolate comunita’ antropofaghe. E questo era solo l’inizio. Facendoci una ragione della nostra condizione di abbandonati, ci siamo subito rivolti ad un altro autista che stava trasportando un esiguo numero di turisti sul suo bus da 50 posti e spiegato l’accaduto ci siamo appellati al suo senso umano, civile e religioso affinche’ ci togliesse da quella situazione sconveniente e ci portasse a destinazione, fosse solo per garantirsi una posizione migliore nella sua prossima vita.
Il nobiluomo, prendendo atto di quanto sopra, ha avuto il coraggio di chiederci il prezzo pieno del biglietto per fare non piu’ di 8km. Di fatto se anche solo un 5% degli accidenti che gli abbiamo tirato in presa diretta sono andati a segno, il meschino si reincarnera’ nella migliore delle ipotesi nella parete interna di una concimatrice perennemente intasata.

Vedendo ridursi le nostre alternative ai minimi termini, abbiamo notato una fermata di autobus extra-urbani che portava in citta’ e spinti verso questo miraggio da una sete di furiosa vendetta nei confronti del gia’ citato mammifero patentemunito, siamo corsi a prendere posto. Li siamo stati fermati da uno zelante addetto alle file (...???) che, dopo aver sentito la nostra triste storia ci ha chiesto di aspettare, ha fatto salire il numero sufficente di persone a riempire il veicolo e ci ha detto che il prossimo sarebbe partito dopo altri 20 minuti. A quel punto, chiusi in un silenzio meditativo simile a quello utilizzato dai kamikaze prima di un attacco, abbiamo atteso pensando solo al piacere che ci avrebbe dato il perquotere a morte l’infingardo autista con la marmitta del suo stesso bus. Pagando 5 dollari di biglietto siamo stati ovviamente portati non alla stazione centrale dei bus ma in centro citta’, rendendo cosi’ vani tutti i nostri sogni di vendetta.

Feriti, umiliati ma ancora non domi, armati della fedele guida, ci siamo messi a cercare il nostro ostello, passeggiando tra centri commerciali di infinita grandezza ed attorniati da fanciulle dalla bellezza indescrivibile (NdA – chi scrive ha un conclamato fetish per le asiatiche). Confrontando i nomi delle strade, intersecando vie maestre e stradine minori, calcolando la velocita’ del vento ed il tasso corrente d’umidita’, novelli cartografi siamo finalmente giunti a destinazione. Se non che al posto del nostro dormitorio, giaceva sul terreno un cratere di dimensioni lunari popolato da ruspe addormentate e trotterellanti scavatrici che infliggevano gli ultimi colpi di grazia a quella che un tempo era stata la nostra destinazione. Eravamo a Singapore solo da 90 minuti ed il posto cominciava sempre di piu’ ad assomigliare ad un incubo.

Ogni viaggiatore sa che l’unica difesa contro le avversita’ in terre straniere e’ la determinazione nel raggiungere gli obiettivi prefissati e questa caratteristica non ci ha fatto difetto. Lesti con la Lonely Planet, abbiamo subito trovato un altro ostello dove siamo stati accolti da un amichevolissimo dipendente che, senza mai staccare la testa dalla sua lettura ci ha borbottato qualcosa sui prezzi dicendoci che – e perche’ mai questo ci avrebbe dovuto sorprendere – al contrario degli altri clienti noi non avevamo diritto ne’ ad asciugamani ne’ ad armadietti. Dopo aver visionato la stanza stile Guantanamo Bay che avremmo dovuto dividere con altri 4 detenuti, abbiamo deciso di accettare la garbata offerta tentando di fare qualche battuta per sdrammatizzare. Il ragazzotto, ovviamente avvezzo ai piaceri dei fast food data la sua stazza cetacea, ci ha subito rimbrottato tacendo ogni speranza di una conversazione che andasse oltre il prezzo del letto. Per questa sua amabilita’, l’obesoide orientale si e’ guadagnato il nomignolo affettuoso di “palla di letame dal pigmento epidermico urinico” e cosi’ lo ricorderemo negli anni a venire.

A questo punto avevamo entrambi raggiunto il limite di sopportazione e saremmo stati pronti ad imbarcarci su un qualunque mezzo di trasporto purche’ ci garantisse di lasciarci alle spalle quella sorta di girone dantesco nel quale eravamo da sole 3 ore ma che gia’ ci parevano una vita. Nondimeno siamo rimasti e le ore successive sono trascorse tra strade illuminate dalla presenza di radiose figliuole, bettole a “basso costo” (le virgolette sono d’obbligo) dove calmare la nostra fame, giganteschi centri commerciali dedicati all’informatica e locali alla coyote ugly dove l’unica cosa “ugly “ eravamo noi.

Ma cosi’ come i drammi vengono annunciati da nefasti presagi, anche le gioie hanno i loro ambasciatori ed infatti dopo essere stati perseguitati cosi’ accanitamente dal maligno ( lascio decidere a voi che nome dare a questa entita’ onnivora) al calar della sera ci si sono manifestati tangibili segnali di ripresa. Il sottoscritto e’ infatti riuscito a battere a biliardo un accanito e priapico avventore del locale sopra mensionato ( ricordate il coyote ugly ? ) mentre Ennio ha inflitto una severa sconfitta sul medesimo panno verde a chi scrive, aggiudicandosi la gara di Singapore del nostro torneo asiatico.
Un’altra piccola grande gioia ci e’ stata regalata dal quartiere indiano dove in un’atmosfera bollywoodiana abbiamo mangiato con pochi spiccioli, completamente immersi nella cultura locale e ricevendo un trattamento umano. Per immergerci ancora di piu’ in quell’atmosfera abbiamo addirittura rifiutato le posate dedicate ai turisti ed abbiamo usato le mani come si confa’ a dei gentiluomini del posto. Personalmente, malgrado sia un accanito sostenitore della forchetta, le ho di gran lunga preferite alle ostili bacchettine cinesi, create a mio avviso per torturare chiunque abbia fame e non appartenga ad un ceppo asiatico da almeno 9 generazioni.

Rinfrancati dalla piacevole esperienza e rigenerati nello spirito, abbiamo affrontato l’operazione “Mac” del giorno dopo con fiero coraggio, anche se questa ci e’ costata ben 5 ore di benchmarking, contrattazioni forsennate, privazioni alimentari ed una notevole dose di pazienza. Fatto questo pero’ Ennio era diventato l’orgoglioso possessore di un Apple nuovo di pacca che lo ha proiettato dalla sua condizione di cavernicolo informatico ad una piu’ appropriata di IT trendy. La nosta missione era terminata ed era finalmente giunto il momento di lasciare Singapore in direzione di Malacca dove la nostra amica Emma ci attendeva.

Ah........ Malacca !!!!!!! Ingiustamente nota in ambienti italici solo per le discutibili abitudini defecatorie di Pierino nell’omonimo stretto, Malacca e’ in realta’ una graziosa cittadina dove passato e presente si fondono in un’armonia equilibratamente bilanciata che riassume in se tutti i pregi del multiculturalismo etnico e religioso malesiano.
Per prima cosa la sera stessa ci siamo presi – in rispetto del Trattato di Singapore siglato da me ed Ennio - una sonora ciucca che ha visto il mio compagno di viaggio esibirsi vocalmente in una jam session blues in un locale di musicisti. La mattina dopo ci siamo avventurati tra le stradine della Malacca storica tra templi cinesi che facevano da dirimpettai a quelli induisti il tutto allietato dalle preghiere cantilenanti dei muezzin.

Continuando nel nostro giro, ci siamo diretti verso un’isoletta creat dai due canali principali che attraversano la citta’ e dove si conserva quasi intatto – ma non troppo – il piu’ tipico dei quartieri di Malacca. Pesseggiando sotto un sole impietoso, abbiamo visto da lontano un gran numero di persone che si addensavano sotto dei tendoni al suono di una musica fragorosa. Pensando di aver trovato un mercatino tipico, ci siamo diretti verso questa sarabanda assaporando gia’ l’acquisto di qualche ricordino. Piu’ ci avvicinavamo e piu’ una coppia di giovani ben vestiti nei tradizionali costumi malacchiani ci si faceva incontro. Trovatici faccia a faccia, i due ci hanno spiegato che quello che aveva attirato la nostra curiosita’ altro non era che il loro matrimonio e ci hanno chiesto di unirci ai festeggiamenti. Ora, si tenga presente che sia io che Ennio non ci cambiavamo – mutande incluse - da almeno due giorni ed in un posto dove ci sono piu’ di 30 gradi ed un’umidita del 90% questo non ti rende esattamente gradevole al resto del genere umano. Infatti in quelle condizioni, probabilmente non mi sarei invitato neanche al mio di matrimonio. Eppure queste persone meravigliose ci hanno spiegato che, essendo quello il giorno piu’ felice della loro vita, tutti erano ben acetti e tutti avevano il diritto di partecipare alla loro gioia. Prima che ci potessimo rendere conto di quanto meraviglioso fosse tale concetto, eravamo gia’ seduti al tavolo con gli amici ed i parenti della coppia con abbondante cibo davanti e bevande fresche per dissetarci.
Malgrado avessimo l’aspetto di una discarica bipede a cielo aperto, quelli tra loro che sapevano parlare inglese ci si sono fatti attorno per spiegarci gli usi ed i costumi locali e per ascoltare le nostre storie. Badate bene, sto facendo un certo sforzo narrativo per evitare di far scadere quanto e’ accaduto in una sorta di mieloso bigliettino da Bacio Perugina ma vi posso assicurare che e’ stata un’esperienza fantastica. Noi stranieri, seduti accanto a degli amici sconosciuti e trattati come fossimo di famiglia.
Malgrado fossimo vestiti da “battaglia” gli sposi hanno voluto che posassimo con loro per le foto ufficiali del loro matrimonio a testimonianza che cio’ che ci era stato offerto non era solo un gesto di magnanima carita’ che si fa ad un mendicante ma una genuina voglia di condividere una gioia che sarebbe stata ricordata nel tempo proprio da quelle foto fatte insieme a quegl’inusuali viaggiatori.

Non male come lezione vero ? Chissa’ se ce ne ricorderemo nel giono delle nostre nozze. ;-)

Ciao

(Dedicato al mio amato coltellino svizzero, ingiustamente rubato da qualcuno all’aeroporto di KL – la maiala di so ma’ allezzita )