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E PAOLO È VIVO
E con questo non condivido solo un post di una sconosciuta quanto vicinissima compagna ma un'emozione. Un'EMOZIONE ALTISSIMA                   

 
A san Bevignate, austera ex chiesa del  1200 laicizzata e secolarizzata nel 1860, stamattina non si riusciva a  entrare. Quanti ventenni. Quanti settantenni. Quanti dreadlock e quante  barbe bianche, quanto rimmel che colava, quante sciarpe usate alla  bell’e meglio come fazzoletti, quante vecchie per mano a giovani punk  vestite di nero, quanti cappelli tormentati tra le mani, quanti sguardi  intensi, quanto di tutto. C’era anche un cane, tranquillo, girava e  annusava. Quanta pioggia, fuori, a spingere dentro anche chi aveva  timore a entrare, a vedere la cassa, ad ammettere che dentro c’era Paolo  ─ o quel che ne rimaneva: tutto di lui è andato in dono, ogni organo  possibile, nella sua ultima estrema generosità. Stretti l’una all’altro,  con un freddo che non voleva lasciarci, abbiamo ascoltato il sindaco  piangere come un ruscello in piena, abbiamo visto ragazzi con i  fazzoletti tricolori dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia al  collo, abbiamo letto il nastro rosso ─ “Tutto regolare”, diceva ─ che  circondava il mazzo di rose posate accanto alla sua fotografia e abbiamo  fatto quel che abbiamo potuto per rendere tangibile che ci ha amato e  che lo abbiamo amato. Dj Prinz ha ricordato di quando, in sala  d’incisione, scoprì come e perché Paolo non usasse mai negazioni nei  propri testi: se cominci negando poi tutto diventa più difficile,  spiegava, invece bisogna dire sì, esortare, incoraggiare, incitare,  immaginare il mondo che vogliamo e che verrà, e dirlo.
 
Abbiamo ascoltato la storia della sua  vita, ripercorsa da chi lo conosceva dalla nascita, dall’adolescenza,  dalla giovinezza o da pochi anni: e tra gli spifferi gelidi passavano  Musil e Neruda, e l’abbiamo accompagnato a Praga e lungo i viali della  sua amatissima Berlino, poi Kerouac s’è affacciato e allo scrosciare  ininterrotto della pioggia s’è sovrapposto il rombare del Greyhound che  lo portò coast-to-coast fino all’oceano, nel cielo zeppo e zuppo dei  diamanti di Lucy, e poi ancora la Francia, la Parigi di un nostro  piccolo sogno (una sera, al suo caldo saluto, “Leggendaria compagna  Fiamma”, aggiunse, come faceva spesso, “Un bacio, dove preferisci”; “A  Parigi”, risposi, senza pensarci troppo, e lui, che tanto sorrideva ma  che conservava le sue risate omeriche per poche, preziose occasioni,  sbottò in baritonali, squassanti risa che fecero tintinnare i bicchieri e  voltare tutti. Poi mi offrì da bere, un Nicaragua Libre ─ rum con acqua  ─ perché, diceva, Cuba è già libera e la coca-cola non ci serve), e  ancora libri e viaggi e altri viaggi e altri libri, sempre, tanti:  perché, come mi disse una volta, “Leggere è importante ma poi le parole  le devi mangiare”. E a quanti coetanei affamati prima, e a quanti più  giovani di lui dopo, ha dato cibo, questo non si può sapere.
 
(Non pochi però, certamente, se nelle stesse ore gli studenti occupavano i binari della stazione di Perugia con uno striscione sul quale si poteva leggere: “Paolo, non ti preoccupare, la rivoluzione la faremo”.)
 
Abbiamo accettato il rischio di essere  retorici pur di trasmettere la sua presenza a chi ne sente e ne sentirà  l’assenza e il suo ricordo a chi non ha fatto in tempo a conoscerlo da  vivo, nella volontà di lasciar fiorire i molti semi che ha sparso senza  risparmiarsi: senza ordini, senza periodicità, con la libertà che lui  avrebbe voluto e sempre ha praticato e diffuso. Quando sentiremo che  sarà il momento, un momento, allora ci autoconvocheremo e ci troveremo e  inviteremo chi vorrà unirsi a noi e daremo forma e bellezza a quanto di  lui ancora vive e continua. Senza sigle, senza rassicuranti  appartenenze, senza dichiarazioni di principi slegati dalla vita  quotidiana, senza apparati: come lui ha cercato di insegnarci (a noi,  zucconi) così cercheremo di riuscire a fare, come il volantino che  girava, girava ─ un funerale con volantinaggio, crediamo avrebbe  apprezzato ─ e che riportava solo le sue parole, scritte esattamente  come le pronunciava in questo video, insieme alla promessa di non lasciarle cadere in un vuoto che, senza girarci troppo intorno, da oggi è più grande.
 
Immagina la creazione di un alfabeto
 
quindi la strutturazione delle sue rappresentazioni
 
la produzione e la riproduzione di lettere
 
la ricezione dell’alfabeto stesso
 
l’allestimento dei mass media
 
la veicolazione delle lettere
 
le sue rappresentazioni teatrali
 
e le sperimentazioni con le lettere
 
quindi l’esplicitazione della teoria dell’alfabeto
 
e la sua dislocazione nella società
 
immagina lo scriverne nei giornali
 
e il crearne dei giornali stessi
 
i critici esplicitarne
 
così come lo scriverne nei libri
 
e d’avere una catena di giornali
 
e una casa editrice amica
 
il portare le lettere dell’alfabeto nei caffè, nei bar, nei ristoranti,
 
sentirne il parlare nelle televisioni e nelle radio
 
così come in internèt
 
immagina la creazione di più alfabeti
 
uno per ogni comunità
 
e il produrre e il riprodurre lettere nella società
 
immagina l’Impero, quindi,
 
che ha prodotto l’ipotesi e l’inizio di un millennio
 
immagina
 
immagina
 
È stato accompagnato sotto l’acqua  gelida fino all’ultimo, fino alla benna  che ammucchiava la terra nella  fossa ─ coprendo la cassa con le sue bandiere, le sciarpe, le cravatte, i  messaggi che qualcuno lanciava, i pugni di terra che altri  gettavano  per accarezzarlo ancora ─ guidata con dolcezza da un operaio dai capelli  bianchi. Continueremo a immaginare, leggendario.
 
Chiudo ringraziando Wu Ming per questo saluto  pieno di tenerezza e per i link che contiene. Infine due frasi copiate  dalla sua bacheca su Facebook, dove quasi quattromila persone non  smettono da giorni di lasciare messaggi: con emozione, con emozione  altissima.
 
Simone ─ un giorno gli chiesi come  stava e mi rispose: “meravigliosamente” e io gli dissi se c’era un  giorno nella sua vita che non fosse andata meravigliosamente e lui mi  rispose: probabilmente antecedente alla mia nascita…
 
Giacomo ─ Paolino Vinti è steso sul  letto dell’ospedale, la parte sinistra del corpo già paralizzata  dall’ictus che lo condurrà alla morte. Quando gli viene chiesto di  provare a muovere il braccio sinistro lui non fa una piega. Con il  braccio destro lo afferra e lo solleva. La mano sinistra stretta in un  pugno per l’ultima, eroica volta.
 
 
 
          
      
 
  
 
 
 
  
2 commenti:
Non ho parole. Immeritatamente, grazie. "E Paolo è vivo" non è solo il titolo, è una promessa.
Grazie per il tuo post. Non capisco se lo hai scritto tu o no, ma mi piace il livello di italiano che trovo in queste pagine digitale.
O pure trovato un link: http://sollevazione.blogspot.com/2010/11/in-memoria-di-paolo-vinti.html
Ti saluto,
Hector
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