mercoledì, dicembre 01, 2010

E PAOLO È VIVO

E con questo non condivido solo un post di una sconosciuta quanto vicinissima compagna ma un'emozione. Un'EMOZIONE ALTISSIMA

A san Bevignate, austera ex chiesa del 1200 laicizzata e secolarizzata nel 1860, stamattina non si riusciva a entrare. Quanti ventenni. Quanti settantenni. Quanti dreadlock e quante barbe bianche, quanto rimmel che colava, quante sciarpe usate alla bell’e meglio come fazzoletti, quante vecchie per mano a giovani punk vestite di nero, quanti cappelli tormentati tra le mani, quanti sguardi intensi, quanto di tutto. C’era anche un cane, tranquillo, girava e annusava. Quanta pioggia, fuori, a spingere dentro anche chi aveva timore a entrare, a vedere la cassa, ad ammettere che dentro c’era Paolo ─ o quel che ne rimaneva: tutto di lui è andato in dono, ogni organo possibile, nella sua ultima estrema generosità. Stretti l’una all’altro, con un freddo che non voleva lasciarci, abbiamo ascoltato il sindaco piangere come un ruscello in piena, abbiamo visto ragazzi con i fazzoletti tricolori dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia al collo, abbiamo letto il nastro rosso ─ “Tutto regolare”, diceva ─ che circondava il mazzo di rose posate accanto alla sua fotografia e abbiamo fatto quel che abbiamo potuto per rendere tangibile che ci ha amato e che lo abbiamo amato. Dj Prinz ha ricordato di quando, in sala d’incisione, scoprì come e perché Paolo non usasse mai negazioni nei propri testi: se cominci negando poi tutto diventa più difficile, spiegava, invece bisogna dire sì, esortare, incoraggiare, incitare, immaginare il mondo che vogliamo e che verrà, e dirlo.

Abbiamo ascoltato la storia della sua vita, ripercorsa da chi lo conosceva dalla nascita, dall’adolescenza, dalla giovinezza o da pochi anni: e tra gli spifferi gelidi passavano Musil e Neruda, e l’abbiamo accompagnato a Praga e lungo i viali della sua amatissima Berlino, poi Kerouac s’è affacciato e allo scrosciare ininterrotto della pioggia s’è sovrapposto il rombare del Greyhound che lo portò coast-to-coast fino all’oceano, nel cielo zeppo e zuppo dei diamanti di Lucy, e poi ancora la Francia, la Parigi di un nostro piccolo sogno (una sera, al suo caldo saluto, “Leggendaria compagna Fiamma”, aggiunse, come faceva spesso, “Un bacio, dove preferisci”; “A Parigi”, risposi, senza pensarci troppo, e lui, che tanto sorrideva ma che conservava le sue risate omeriche per poche, preziose occasioni, sbottò in baritonali, squassanti risa che fecero tintinnare i bicchieri e voltare tutti. Poi mi offrì da bere, un Nicaragua Libre ─ rum con acqua ─ perché, diceva, Cuba è già libera e la coca-cola non ci serve), e ancora libri e viaggi e altri viaggi e altri libri, sempre, tanti: perché, come mi disse una volta, “Leggere è importante ma poi le parole le devi mangiare”. E a quanti coetanei affamati prima, e a quanti più giovani di lui dopo, ha dato cibo, questo non si può sapere.

(Non pochi però, certamente, se nelle stesse ore gli studenti occupavano i binari della stazione di Perugia con uno striscione sul quale si poteva leggere: “Paolo, non ti preoccupare, la rivoluzione la faremo”.)

Abbiamo accettato il rischio di essere retorici pur di trasmettere la sua presenza a chi ne sente e ne sentirà l’assenza e il suo ricordo a chi non ha fatto in tempo a conoscerlo da vivo, nella volontà di lasciar fiorire i molti semi che ha sparso senza risparmiarsi: senza ordini, senza periodicità, con la libertà che lui avrebbe voluto e sempre ha praticato e diffuso. Quando sentiremo che sarà il momento, un momento, allora ci autoconvocheremo e ci troveremo e inviteremo chi vorrà unirsi a noi e daremo forma e bellezza a quanto di lui ancora vive e continua. Senza sigle, senza rassicuranti appartenenze, senza dichiarazioni di principi slegati dalla vita quotidiana, senza apparati: come lui ha cercato di insegnarci (a noi, zucconi) così cercheremo di riuscire a fare, come il volantino che girava, girava ─ un funerale con volantinaggio, crediamo avrebbe apprezzato ─ e che riportava solo le sue parole, scritte esattamente come le pronunciava in questo video, insieme alla promessa di non lasciarle cadere in un vuoto che, senza girarci troppo intorno, da oggi è più grande.

Immagina la creazione di un alfabeto

quindi la strutturazione delle sue rappresentazioni

la produzione e la riproduzione di lettere

la ricezione dell’alfabeto stesso

l’allestimento dei mass media

la veicolazione delle lettere

le sue rappresentazioni teatrali

e le sperimentazioni con le lettere

quindi l’esplicitazione della teoria dell’alfabeto

e la sua dislocazione nella società

immagina lo scriverne nei giornali

e il crearne dei giornali stessi

i critici esplicitarne

così come lo scriverne nei libri

e d’avere una catena di giornali

e una casa editrice amica

il portare le lettere dell’alfabeto nei caffè, nei bar, nei ristoranti,

sentirne il parlare nelle televisioni e nelle radio

così come in internèt

immagina la creazione di più alfabeti

uno per ogni comunità

e il produrre e il riprodurre lettere nella società

immagina l’Impero, quindi,

che ha prodotto l’ipotesi e l’inizio di un millennio

immagina

immagina

È stato accompagnato sotto l’acqua gelida fino all’ultimo, fino alla benna che ammucchiava la terra nella fossa ─ coprendo la cassa con le sue bandiere, le sciarpe, le cravatte, i messaggi che qualcuno lanciava, i pugni di terra che altri gettavano per accarezzarlo ancora ─ guidata con dolcezza da un operaio dai capelli bianchi. Continueremo a immaginare, leggendario.

Chiudo ringraziando Wu Ming per questo saluto pieno di tenerezza e per i link che contiene. Infine due frasi copiate dalla sua bacheca su Facebook, dove quasi quattromila persone non smettono da giorni di lasciare messaggi: con emozione, con emozione altissima.

Simone ─ un giorno gli chiesi come stava e mi rispose: “meravigliosamente” e io gli dissi se c’era un giorno nella sua vita che non fosse andata meravigliosamente e lui mi rispose: probabilmente antecedente alla mia nascita…

Giacomo ─ Paolino Vinti è steso sul letto dell’ospedale, la parte sinistra del corpo già paralizzata dall’ictus che lo condurrà alla morte. Quando gli viene chiesto di provare a muovere il braccio sinistro lui non fa una piega. Con il braccio destro lo afferra e lo solleva. La mano sinistra stretta in un pugno per l’ultima, eroica volta.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Non ho parole. Immeritatamente, grazie. "E Paolo è vivo" non è solo il titolo, è una promessa.

Unknown ha detto...

Grazie per il tuo post. Non capisco se lo hai scritto tu o no, ma mi piace il livello di italiano che trovo in queste pagine digitale.

O pure trovato un link: http://sollevazione.blogspot.com/2010/11/in-memoria-di-paolo-vinti.html

Ti saluto,

Hector